La pubblicità accompagna ogni attività della nostra giornata, ma le strategie di un marketing sempre più agguerrito la trasformano in un’arma pericolosa per la sua potenziale qualità discriminatoria e sessista.
La pubblicità è seduzione e sensualità: due dimensioni tipicamente femminili. Ecco il motivo per cui la figura femminile, sia direttamente che indirettamente, è più presente di quella maschile.
Nei primi carosello degli anni cinquanta, la figura femminile era l’“elemento succube nella comunicazione pubblicitaria” (Erving Goffman, il primo ad analizzare il tipo di rapporto che si crea in pubblicità tra la figura dell’uomo e quella della donna). Soggetta a complesse incrostazioni culturali, la donna era subordinata alla figura maschile. Era quella capace di badare solo alla casa e alla famiglia.
Da allora molto è cambiato.
A partire dagli anni settanta, periodo in cui questa interpretazione aveva sollevato le critiche delle femministe, la donna ha iniziato a raggiungere traguardi sociali e giuridici importanti, guadagnando posizioni sempre più rilevanti.
Si apre, così, l’epoca della pubblicità contemporanea che vede la figura femminile, sempre più spesso, protagonista e non più semplice comparsa.
La realtà mediale diventa lo specchio di quella sociale. E il ruolo che le donne conquistano all’interno della società si riflette anche negli spot e nell’advertising.
L’immagine fortemente simbolica è quelle di donne manager in carriera, casalinghe e madri energiche che lasciano compiti ai propri mariti e partner felici, separate o single.
È una donna seducente, bella ed in ottima forma che mostra con sicurezza gli effetti positivi che l’uso assiduo di determinati prodotti può assicurare, nonché lo stato di benessere che quegli stessi prodotti riescono a infonderle. E poi, nonostante gli anni che passano, con i cosmetici giusti riesce a mantenersi giovane e piacente.
Così, per attirare l’attenzione dei consumatori, è lei la protagonista numero uno delle campagne pubblicitarie di ogni tipo: dai prodotti di bellezza a quelli per la casa, dal cibo alle bevande, dall’abbigliamento alle auto, dai prodotti tecnologici a quelli bancari, assicurativi e di più…).
È lei la connotazione di molti generi di consumo rivolti anche a un target maschile.
“Fate l’amore con il sapore” cita un famoso spot che pubblicizza yogurt. Il tentativo è quello di catturare l’attenzione del consumatore fin dal primo istante, facendo leva sulla sfera erotico sessuale, sui sensi e sul sogno stimolato dallo yogurt e creato dalle fantasie della ragazza protagonista, spesso vestita di nudo.
Oppure “La patata attira”. Un’affissione di 6×3, dove la bella Maria Teresa Ruta mostra il seno attraverso una scollatura profonda, mentre tiene in mano l’oggetto della campagna: la patatina fritta.
E poi, da Megan Gale della Vodafone a Belén Rodríguez della Tim, ecco altri esempi “inquinati” da connotazioni erotiche.
La pubblicità cerca di sedurre gli uomini con la grazia e la bellezza femminile e di sedurre le donne puntando sull’identificazione.
Questo uso eccessivo della figura femminile in pubblicità, dovuto spesso anche alla mancanza di creatività, spesso si traduce in immagini volgari e violente, irrispettose della dignità femminile, perché “oltre le gambe c’è di più”.
Ad arginare questo fenomeno, dannoso per le donne e per l’intera società, ci ha pensato la Risoluzione del Parlamento Europeo del 3 settembre 2008 sull’impatto del marketing e della pubblicità sulla parità tra donne e uomini. Tale documento afferma che “la socializzazione è un processo che genera identità e valori attraverso il meccanismo dell’identificazione” e sottolinea che “gli stereotipi di genere vanno eliminati” attraverso “buoni esempi”.
Con il Premio immagini amiche, strumento anche di dibattito e confronto, si intende incoraggiare una nuova generazione di creativi, più attenta e socialmente responsabile, passando dalla denuncia di ciò che non va, alla valorizzazione di pratiche ed esempi positivi. Marion Cotillard, premio Oscar 2008, con il suo filmato ha fatto il giro del mondo, per aiutare le donne a essere prese più sul serio nei luoghi di lavoro. “Guardami negli occhi” la mostrava con due seni di gomma sulla fronte, sostenendo che è l’unico modo per far sì che gli uomini la guardino in faccia e non nella scollatura (http://www.corriere.it/cronache/10_marzo_13/cotillard_donne_sguardi_invasivi_f970e274-2e75-11df-81be-00144f02aabe.shtml).
Su questo argomento, anche il nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napoletano, ha dimostrato la sua sensibilità. Infatti, lo scorso 15 aprile, in occasione del convegno “Donne in Tv e nei media: un nuovo corso per l’immagine femminile”, al Presidente del Comitato per le Pari Opportunità, Mirella Ferlazzo, ha inviato il seguente messaggio: “L’immagine di una donna ornamentale, vista come un bene di consumo che viene a volte fornita dai media, e che ha alla base un evidente disprezzo della dignità femminile, può offrire un contesto favorevole dove attecchiscono molestie sessuali, verbali e fisiche, se non veri e propri atti di violenza anche da parte di giovanissimi”. [http://www.altroquotidiano.it/?p=35687]
È, quindi, in atto un cambiamento di tendenza sull’uso della donna in pubblicità e modelli alternativi di presentazione della bellezza femminile stanno nascendo.
Un esempio è quello proposto dalla campagna Dove Per la Bellezza Autentica, consapevole che il confronto forzato con stereotipi irraggiungibili produce inevitabilmente un deficit di autostima.
La bellezza autentica si può manifestare in forme, taglie, colori ed età diverse. Così, Dove vuole offrire un’idea più ampia, più sana e più democratica di bellezza. Un’idea che tutte le donne possono fare propria e apprezzare ogni giorno, anche davanti allo specchio.
Già nel 2007, Dove aveva diffuso su web una campagna marketing incentrata sul messaggio “Abbasso la chirurgia estetica, viva la bellezza naturale”, puntando tutto su “La bellezza non è tutto” e “Ribelliamoci ai canoni estetici che ci vengono imposti”.
Insieme al sito aveva realizzato anche dei video che, contagiando migliaia di blogger, in pochissimo tempo avevano scalato le classifiche di YouTube, con 4.853.258 di utenti [http://www.youtube.com/watch?v=vilUhBhNnQc&feature=player_embedded].
Sorprendenti anche i risultati per il sito www.campaignforrealbeauty.com, secondo i dati di Alexa, specialista nelle statistiche web, ha superato quello del sito istituzionale www.dove.com.
Di fatto possono ritenersi incoraggianti anche i risultati che emergono dalla lettura del Report Annule 2009 diffuso da Unilever (società pubblica proprietaria del marchio Dove). Leggendo i dati di analisi del triennio 2007/2009, risulta che i prodotti per la cura della persona, insieme al settore “food and beverage”, sono gli unici a tenere il mercato, registrando dei pur lievi incrementi.
Una buona spinta verso l’ottimismo a beneficio delle scelte marketing coraggiose effettuate dal marchio Dove.
Ma siccome la pubblicità deve parlare a un pubblico molto vasto, certi traguardi sono ancora difficili da raggiungere. Così ci troviamo di fronte a due forme di comunicazione: quelle che tengono conto del progresso della cultura femminile e della sua presenza nella società, e quelle in cui tutto diventa immancabilmente “oggetto”… anche la donna.
A tale proposito, in un contesto di affollamento pubblicitario, l’attenzione del consumatore sarà istintivamente catalizzata dalla figura femminile. Non è l’immagine in sé a far vendere, ma serve a catturare chi la guarda. Il problema è che spesso questo effetto “saturazione” provoca una rincorsa all’estremo che finisce per prevaricare il buon gusto. Fin dove possono spingersi i creativi? L’unico strumento che può determinare questi confini è il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria, individua le pubblicità shock e tutela gli interessi dei cittadini consumatori.
Nota su Dove:
Già nel 2003, Dove era riconosciuto come marchio di punta per Unilever. Infatti, secondo una ricerca del M.I.T. – Massachusetts Institute of Technology, Dove bar soap e Dove body wash erano rispettivamente al secondo e al decimo posto dei prodotti più venduti e più conosciuti dal pubblico su oltre 256 brand Unilever.
[Stefania Giuseppetti e Rossella Angius per AZ Franchising]