In questo scenario storico/economico in cui ci troviamo, le aziende si trovano nella condizione in cui devono dare di più, sia in termini di servizi, sia in termini di efficienza, spendendo di meno. Una sfida irraggiungibile se si seguono vecchi criteri basati su logiche egocentriche e autoreferenziali, ma sicuramente vincente se si tende a modificare gli schemi verso modelli d’interazione sempre più dinamici e flessibili.
Tradizionalmente le aziende sono sempre state “chiuse”, hanno sempre custodito gelosamente le risorse più preziose, come la proprietà intellettuale, il modello organizzativo o il capitale umano.
Oggi la spinta verso l’apertura, incoraggia le aziende a ricercare collaboratori e talenti da ogni parte del mondo, eliminando le tradizionali gerarchie, ponendo i partecipanti sullo stesso livello e favorendo il lavoro di gruppo e la condivisione di risorse, infrastrutture e idee, in un’ottica globale nell’agire, nell’essere presenti e attenti ai cambiamenti.
Questo modello di business è chiamato crowdsourcing[1]. Favorito dagli strumenti che mette a disposizione il web, permette a un’azienda o un’istituzione di affidare la progettazione, la realizzazione o lo sviluppo di un progetto, oggetto o idea a un insieme indefinito di persone non organizzate in una comunità preesistente.
Il neologismo crowdsourcing è apparso per la rima volta nel 2006 sulla rivista Wired, quando nell’articolo “The rise of crowdsourcing” Jeff Howe ha messo insieme i termini crowd (gente comune), source (fonte/ sorgente) e outsourcing (esternalizzazione di un’attività al di fuori della propria impresa/organizzazione/gruppo).
La folla si trasforma in “risorsa” grazie alle tecnologie digitali, che agevolano il nuovo modo di lavorare.
A differenza dal tradizionale outsourcing, in cui i compiti sono delegati ad un’azienda con una sua propria organizzazione, il crowdsourcing attinge, quindi, a figure individuali non legate tra loro, all’intelligenza e alla capacità risolutiva di una ‘collettività’ distribuita in tutto il mondo.
La causa di questo fenomeno risale alla sempre più estesa innovazione e penetrazione della tecnologia, che ha permesso alle aziende di raggiungere e di attingere al migliore talento della massa in sostituzione o in parallelo a quello dei professionisti.
La passione degli utenti è il fattore che determina il coinvolgimento e il successo del progetto. Ognuno partecipa alle attività apportando il proprio lavoro o le proprie conoscenze in modo libero, ottenendo in cambio il raggiungimento dell’obiettivo finale, un riconoscimento o semplicemente una soddisfazione personale.
L’approccio partecipativo alla conoscenza che sta alla base del crowdsourcing, ha rivoluzionato i modelli organizzativi e di comunicazione dell’impresa moderna.
I campi di impiego sono diversi: il pubblico può essere invitato ed invogliato a realizzare nuovi design (“community-based design”), a risolvere un problema scientifico o tecnologico (“open innovation”), a diventare sia scrittori che editori di un’enciclopedia (vedi Wikipedia), a diventare giornalisti (”citizen journalism”) o semplicemente a risolvere facili compiti quasi-ripetitivi ma ancora difficilmente automatizzabili (”human-based computation”).
Le storie di crowdsourcing sono numerose.
Wikipedia è l’esempio più lampante, dove ogni singolo utente, possedendo una conoscenza unica e personale, è l’autore di un piccolo tassello di un’opera complessiva.
99designs, network per l’utilizzo del talento creativo (brand aziendali, posizionamento sul mercato, immagine coordinata, packaging, siti, t-shirt, copertine e quello che serve ai giovani imprenditori per supportare il proprio lavoro) è una rete che dal lancio ha ospitato più di 184mila concorsi internazionali di graphic design commissionati da start-up, piccole aziende e altre organizzazioni, erogando in totale guadagni per 45 milioni di dollari alla sua community di oltre 200mila creativi da 190 Paesi diversi. La sua rapida crescita a seguito del lancio delle versioni nazionali del sito in Germania, in Francia e ora anche in Italia, indica come l’offerta di piattaforme locali di supporto sia di fondamentale importanza. [http://italianvalley.wired.it/news/2013/01/17/99designs-crowdsourcing-italia-8373564.html].
Google nel 2010, in occasione del terremoto che ha colpito Haiti, ha lanciato il servizio “Person Finder”[2]: una sorta di bacheca sulla quale è possibile cercare persone conosciute o fornire informazioni su persone di cui si ha notizia. Il servizio può inoltre essere ospitato su qualsiasi sito per “partecipare” alle ricerche. Da allora “Person Finder” è stato riutilizzato nel corso delle più gravi emergenze che sono sopraggiunte successivamente.
Poste Italiane ha lanciato nei mesi scorsi una campagna di idee promozionali per il nuovo servizio online di spedizioni.
Il Comune di Venezia, invece, lo ha fatto con la realizzazione di un sistema on-line per la segnalazione in crowdsourcing di guasti e disservizi: i cittadini, utilizzando un computer, un tablet o anche uno smartphone, possono segnalare un guasto al Comune, e successivamente, monitorare l’iter di riparazione, dall’assegnazione all’ufficio competente fino alla chiusura dell’intervento.
[1] http://it.wikipedia.org/wiki/Crowdsourcing
[2] Google (2011) – Google Person Finder helps people reconnect with friends and loved ones in the aftermath of natural and humanitarian disasters, Google.org web site,http://www.google.org/personfinder/global/howitworks, 2011
[Stefania Giuseppetti per AZ Franchising]