Il “citizen journalism”


Partendo dal presupposto che i fatti sono davanti ai nostri occhi, ormai chiunque abbia un computer e un collegamento in rete può “dire la sua”, pubblicando contenuti di qualsiasi tipo nell’orizzonte del circuito informativo globale.
Tale scenario ci fa assistere alla crescita di una nuova cultura dell’informazione, sinonimo concreto di libertà di espressione, che vede come unica protagonista la partecipazione dei cittadini. Normali cittadini che per dar voce alla loro voce, alle proprie idee, ai punti di vista, ai sentimenti, ai loro interessi o alle loro comunità, in maniera spontanea e individualistica, finiscono per improvvisarsi “giornalisti”, occupandosi di fatti che non trovano spazio sulle pagine dei giornali.
Nasce, così, il “citizen journalism”, ovvero, l’azione di un cittadino o di un gruppo di cittadini che svolgono un ruolo attivo nel processo di raccolta, stesura, analisi e diffusione delle notizie.
Senza l’ordine sequenziale fonte-giornalismo-pubblico, qualsiasi persona dotata di telefono cellulare, videocamera e blog può produrre la notizia, sostituendosi ai media tradizionali. È un mondo caotico in cui il racconto arriva dal basso, le informazioni partono da tanti per raggiungere tanti altri. Non c’è nessuno che controlla e neppure l’istituzione-giornale che verifica, ma è la rete stessa che offre ai lettori gli strumenti per accertare la notizia.
Tom Curley, il direttore dell’Associated Press, già nel 2004, sosteneva che «… i consumatori vorranno utilizzare la natura interattiva di internet per partecipare direttamente allo scambio delle notizie e delle idee. L’informazione come lezione sta lasciando spazio all’informazione come conversazione…».
La vera forza del “citizen journalism”, infatti, sta proprio nell’interazione. Le notizie sono utili per le persone e non per le elite e i gruppi di interesse.
A differenza dei media convenzionali che producono una comunicazione a senso unico con il loro pubblico, in cui non c’è possibilità di fare una controverifica di quello che è stato detto o scritto, con il “giornalismo partecipativo” chiunque può essere d’accordo o in disaccordo, condividere la propria opinione, o replicare a quanto affermato da altri.
Assistiamo a un giornalismo “open source”, a un consumo globale della notizia, in cui maggiori informazioni, video e immagini ci offrono prospettive diverse sul medesimo evento, contribuendo alla creazione di un unico, grande mosaico. Le notizie sono assunte di continuo e si deteriorano rapidamente; non esiste più la distinzione fra tempo di produzione, tempo di pubblicazione e tempo di fruizione. Questi tre “tempi” accadono ormai contemporaneamente.
Il singolo articolo non è più relegato in uno spazio preciso e limitato ad un numero esatto di battute; può sconfinare comodamente in altre informazioni che, attraverso la logica dei link, potrebbero addirittura non finire mai.
Il fenomeno non si contrappone all’informazione prodotta da editori professionisti, ma è complementare ad essa.
Dalle notizie non giornalistiche si può approdare ai siti giornalistici, così come dai contenuti gestiti da professionisti dell’informazione si può arrivare a contenuti realizzati dalle fonti, dai produttori degli eventi, o dai consumatori dell’informazione stessa.
Seppure le convinzioni popolari ritengono che l’informazione proveniente da canali ufficiali sia di qualità superiore e maggiormente affidabile rispetto a quella prodotta on-line dai cittadini, assistiamo ormai a una crisi di lettura dei giornali.
Il giornalismo partecipativo può essere considerato la risposta a tale crisi, in cui le testate vedono la possibilità di un nuovo patto “on-line” con i loro lettori. Un nuovo patto finalizzato all’equilibro attraverso l’apertura di ogni articolo ai commenti del pubblico. Un nuovo patto che stabilisce una relazione tra il giornalista e chi lo legge, che sembra adattarsi meglio a uno scenario sociale più fluido e a forme di consumo culturali più varie, flessibili e “orizzontali”. E l’abilità del giornalista diventa anche la capacità di coinvolgere e attivare la comunità del suo pubblico.
Il “citizen journalism” riporta, così, la democrazia nelle mani delle persone.
Si tratta di una vera propria forma di partecipazione senza confini, espressa attraverso una pluralità di mezzi e di linguaggi, indipendente e accessibile a tutti, che sta segnando il futuro dell’informazione.
Il rischio, comunque, che i governi che intendono limitare l’informazione, effettuando interventi di censura o blocchi nell’accesso a internet, c’è e se fosse attuato non sarebbe altro che la testimonianza del suo successo, perché il “citizen journalism” non è fatto altro che dai cittadini che non intendono rassegnarsi allo stato delle cose.

Il giornalismo partecipativo (detto anche giornalismo collaborativo o, in inglese, citizen journalism o open source journalism) è il termine con cui si indica la nuova forma di giornalismo che vede la partecipazione attiva dei lettori, grazie alla natura interattiva dei nuovi media e alla possibilità di collaborazione tra moltitudini offerta da internet [http://it.wikipedia.org/wiki/Giornalismo_partecipativo].

[Stefania Giuseppetti per AZ Franchising]