Lo scorso 15 ottobre è stata presentata la quindicesima edizione del Rapporto sulla comunicazione del CENSIS, che dal 2001 monitora il consumo dei media e analizza i cambiamenti nella dieta mediatica degli italiani e la loro ricaduta sulla vita del Paese.
Dai dati emerge come sia forte la frattura generazionale nei consumi mediatici. Tra gli under 30 la quota di utenti di internet supera il 90%, mentre è ferma al 42,5% tra gli over 65. Più dell’86% dei primi usa lo smartphone, ma lo fa solo il 35% dei secondi. Più del 70% dei giovani è iscritto a Facebook e usa YouTube, contro circa il 20% degli anziani. Più della metà dei giovani consulta i siti web di informazione, contro appena un quinto degli anziani. Quasi il 47% dei primi guarda la web tv, contro appena il 9,5% dei secondi. Oltre il 35% dei giovani ascolta la radio attraverso il telefono cellulare, mentre lo fa solo il 4% dei longevi. Su Twitter c’è un quarto dei giovani e un marginale 3% scarso degli over 65.
Nella fotografia del CENSIS si dimostra come gli italiani siano sempre di più un popolo di navigatori ma non di lettori, con una spesa per gli smartphone che cresce del 221,6% in dieci anni, mentre scende quella per i libri e i giornali. In questa era biomediatica, infatti, è diventato più importante scrivere e condividere ciò che accade ogni giorno sui social network piuttosto che leggerlo. E nella stessa fotografia si evidenzia anche la crisi del divismo e la fine dello star system tradizionale. Con la “disintermediazione digitale”, ovvero la caduta dei filtri tra coloro che comunicano attraverso l’uso principalmente di smartphone e social network, si rompe quel meccanismo di proiezione sociale, esercitato in passato dal pantheon delle celebrità.
Penso agli anni Ottanta, all’impiego dei divi nel marketing” e alla teoria della star strategy, ideata dal pubblicitario francese Jacques Séguéla, si trasformava la marca in una star, perché le star del cinema avevano tutte le qualità per attirare il consenso del pubblico: riuscivano a convincere, sedurre e a durare nel tempo. Nel suo libro Hollywood lava più bianco, Séguéla scriveva: «ogni marca deve essere una stella, di qualsiasi grandezza possa essere, a qualsiasi altezza possa brillare». Nell’immaginario collettivo il divo assume il ruolo di “ispiratore”, reale o immaginario, al quale si vorrebbe ardentemente assomigliare. Nello scenario attuale questa figura scintillante e patinata è ormai smitizzata: solo un Italiano su dieci ritiene che una celebrità sia un vero e proprio modello da imitare e a cui ispirarsi. Gli idoli e gli eroi, venerati e inavvicinabili, lasciano il posto alle star del web, che fuori dagli ambienti “hollywoodiani”, diventano famose postando sui canali social “reality” girati nella loro cameretta.
“Tutto il mondo è un palcoscenico, e gli uomini e le donne sono soltanto attori. Hanno le loro uscite come le loro entrate, e nella vita ognuno recita molte parti”, scriveva William Shakespeare.
Oggi ognuno di noi ha a disposizione la “rete” intera per mettersi in vista, mostrarsi e sembrare. Apparire è l’emblema di uno status e il numero di like è sinonimo di popolarità e consenso.
Come recita il Rapporto Censis, “oggi è data a tutti la possibilità di trovare uno spazio mediatico digitale in cui mostrarsi alla vista di tutti e su internet sembra essersi infranto il diaframma che separa le persone comuni dai professionisti di qualunque ambito, a cominciare da quello artistico, visto che quello che comunemente viene definito lo star system sembra essere entrato in una fase di crisi”.
I dati forniti dal Censis rivelano che secondo il 49,5% degli Italiani, oggi chiunque ha l’opportunità di diventare famoso: le donne (50,7%) più degli uomini (48,3%), le persone istruite (53,4%) più di chi ha studiato meno (46,4%), con ben un terzo dei nostri connazionali che ritiene fondamentale, per il raggiungimento di tale aspirazione, la popolarità sui social network.
Stando ai talent, agli X-Factor e agli influencers, ognuno vuole e forse può diventare famoso.
E allora “uno vale un divo”: potenzialmente tutti lo siamo o forse non lo è più nessuno.
[Stefania Giuseppetti per AZ Franchising]