La comunicazione sociale verso la conquista del consumatore


All’interno di un’azienda la responsabilità sociale, oltre a significare benessere dei dipendenti e diminuzione degli infortuni, può avere effetti anche sulla sua crescita e sull’innovazione di prodotti/servizi che rispettano l’ambiente e la salute dei cittadini.
La responsabilità sociale non è un fenomeno passeggero legato ad una moda culturale, ma qualcosa di permanente che può permettere all’impresa di guadagnare in termini di immagine e reputazione agli occhi dei consumatori che, più sensibili a certe tematiche, potrebbero iniziare a preferirne i prodotti/servizi rispetto alla concorrenza.
Sì, perché in questa epoca di sviluppo ci troviamo di fronte a uno scenario in cui la responsabilità sociale del cittadino cresce e diventa sempre più sensibile alle tematiche del rispetto dei diritti umani, non soltanto sul lavoro, ma anche in altri contesti.
Il “sociale” diventa un elemento sempre più presente nella vita dell’individuo e sempre di più alle proposte di consumo si collegano messaggi sociali.
La figura del consumatore non corrisponde più a quella del ricettore passivo delle proposte che gli vengono offerte, ma, con le sue decisioni di acquisto e i suoi comportamenti, partecipa attivamente a “costruire” l’offerta di quei beni e servizi di cui, sul mercato, fa domanda. Inoltre, contribuisce a promuovere o bocciare un prodotto/servizio in base a criteri globali di posizionamento, attraverso scelte che implicano aspetti etici, politici e morali.
Perciò, il consumatore non compra più solo il prodotto/servizio ma anche i valori dell’azienda che lo produce: vuole sapere come quel certo bene è stato “confezionato” e se nel corso della sua produzione l’impresa ha violato, in tutto o in parte, i diritti fondamentali della persona che lavora.
Nonostante siano trascorsi oltre 10 anni, è ancora attuale il caso della multinazionale Nike. Nel 1996 fa il giro del mondo un articolo pubblicato dalla rivista Life che mostra alcuni bambini pakistani intenti alla cucitura di palloni da calcio a marchio Nike e logo Fifa. Nel distretto di Sialkot, dove si concentra l’80% della produzione mondiale di palloni da calcio, lavorano oltre 10 mila bambini nella cucitura dei palloni. Il titolo Nike precipita e il 1997 si chiude con una consistente diminuzione dei profitti per l’azienda. Per superare la crisi Nike si mostra, così, disposta al dialogo e annuncia un programma di miglioramento delle condizioni di lavoro nelle fabbriche (aumento dei salari, controllo sull’impiego di minori, migliori condizioni di sicurezza).
Esperienze analoghe sono capitate all’Adidas, accusata da un ex internato in un campo di lavoro in Cina di far uso del lavoro forzato di prigionieri politici per la produzione di palloni da calcio per i mondiali del 1998 (15 ore al giorno per 1 dollaro e 50 al mese), alla Reebok e alla Nestlé.
Da questo momento in poi l’idea della “buona cittadinanza” di impresa si fa sempre più strada e numerose diventano le campagne che fanno riferimento a un’azione promossa in ambito sociale.
Da parte delle aziende esistono approcci differenti alla comunicazione sociale: non solo campagne sui media tradizionali ma anche relazioni pubbliche, marketing diretto, eventi, promozioni, comunicazione on-line, ecc.
Per esempio, Granarolo promuove progetti di sviluppo, donando spazi pubblicitari su TV, stampa, affissioni, per la campagna di raccolta fondi istituzionale di Medici Senza Frontiere.
Sempre per MSF, nel 2007, nei negozi di Ikea nei mesi di marzo e aprile si è potuto acquistare la borsa blu pagandola € 1,20 euro anziché 60 centesimi. I 60 centesimi versati in più, insieme a quelli donati da Ikea, sono andati a Medici Senza Frontiere per garantire l’assistenza sanitaria a migliaia di haitiani che altrimenti non avrebbero avuto accesso alle cure.
Altre imprese come Avon, un’azienda al femminile che realizza prodotti per il benessere delle donne distribuiti porta a porta, ha fatto del sostegno alla ricerca contro il cancro al seno una vera e propria mission aziendale, portata avanti con passione e continuità attraverso numerose iniziative.
Esselunga, invece, a favore del CESVI (organizzazioni non profit che opera per la solidarietà mondiale), sottolinea il proprio essere socialmente responsabile creando raccolte punti.
Donna Moderna, inoltre, rinnova con maggiore forza il suo sostegno alla Fondazione Pangea Onlus, contro la violenza sulle donne. Lo ha fatto di recente in occasione della festa della donna, allegando alla rivista il Nodo di Pangea, un ciondolo che rappresenta il segno del rifiuto e dello sdegno nei confronti di qualunque violenza perpetrata contro le donne. E poi, acquistando tale numero, si contribuiva alla creazione di un fondo per erogare microcrediti alle donne coinvolte in un percorso di reinserimento sociale e professionale.
Alcune marche sono quindi riconosciute dal consumatore come “socialmente responsabili” per aver attuato una politica più o meno seria e coerente, utilizzando in modo corretto tutte le potenzialità che la comunicazione sociale può offrire.

Secondo Nielsen Media Research dal 1995 al 2003 la comunicazione sociale ha visto aumentare notevolmente gli investimenti sui media classici: da 70 milioni a oltre 300 milioni di Euro. Una crescita senza dubbio notevole anche se la percentuale sul totale degli investimenti pubblicitari è ancora bassa: sfiora il 4,5% del mercato complessivo.

[Stefania Giuseppetti per AZ Franchising]