In una società dinamica, aperta al mercato in continuo cambiamento, anche il marchio deve essere in movimento.
Trasformare il marchio non significa solo cambiargli l’abito, il nome o il logotipo, ma significa intraprendere una rivoluzione radicale, che oltre all’identità visiva coinvolge il modello di business, i prodotti, i servizi e tutto ciò che contribuisce alla costituzione della “personalità” aziendale. Tale processo di trasformazione o cambiamento è detto “rebranding”.
Il rebranding è necessario quando non sussistono più le condizioni di mercato e sociali su cui si basava l’idea originaria di un determinato prodotto o servizio.
La sua attività è una fase naturale nei processi di posizionamento, ristrutturazione, ricreazione e reinvenzione del brand totale o parziale.
Gli scenari possibili che spiegano un rinnovamento di questo calibro sono diversi, come ad esempio il bisogno di comunicare un cambiamento di rotta riguardo il proprio core business, la volontà di sottolineare cambiamenti a livello di organizzazione aziendale o societaria, oppure semplicemente l’attualizzazione stilistica secondo i canoni del contesto competitivo in cui si opera.
Un esempio classico e significativo di rincorsa al rinnovamento è quello dell’evoluzione del logo Pepsi, che dal 1898 ha subito diverse ristrutturazioni.
Il cambiamento sostanziale è avvenuto quando Walter Mack (CEO di Pepsi), per sostenere l’impegno degli Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale, ebbe l’idea del “Pepsi Globe”, un patriottico logo blu, rosso e bianco raffigurante un tappo a corona con il logo della Pepsi.
Nel corso degli anni e dei successivi aggiornamenti il “Pepsi Globe” ha continuato a rappresentare l’identità dell’azienda, occupando un posto sempre più rilevante, fino all’ultima trasformazione del 2008, quando con il restyling del globo in chiave moderna, il logotipo “Pepsi” è stato addirittura abbandonato.
Numerose sono le aziende che rivitalizzano ciclicamente la propria immagine o il proprio marchio, per essere più accattivanti e adatti allo stile dell’epoca, proprio come hanno fatto Microsoft, Apple, Shell, Kodak, o Google.
Spesso le aziende decidono di effettuare un rebranding anche in seguito a fusioni o acquisizioni, come è avvenuto, ad esempio, per UnipolSai, nata dall’acquisizione di Fondiaria Sai da parte di Unipol. In questo caso il logo è stato ripensato, mantenendo le forme caratteristiche di Unipol e abbandonando quelle di Fondiaria.
Altre volte le aziende decidono di effettuare un rebranding per ampliare il proprio mercato. Un caso emblematico è quello di Starbucks, lo storico marchio di caffetterie diffuso in tutto il mondo. Nel 2011, per celebrare il 40° anniversario, ha eliminato la scritta Starbucks Coffe dal logo, rimarcando la volontà di intraprendere nuove strategie e garantire al brand una maggiore libertà e flessibilità di innovare ed esplorare nuovi prodotti e nuovi canali di distribuzione.
Insomma, le ragioniche spingono le aziende verso un rebranding possono essere davvero numerose.
Gli incidenti sono un valido motivo, ad esempio, così come può esserlo la cattiva reputazione dovuta a insuccessi, critiche esterne o addirittura ad una campagna di marketing inefficace.
Il rebranding è quasi sempre obbligatorio quando ci troviamo di fronte all’integrazione di diverse marche o mercati geografici sotto un unico marchio aziendale. Questo è il tipico caso della società dal nome forte e consolidato che cambia tutte le sue attività di business acquisite nel tempo, per allinearle al ‘masterbrand’.
Quando la Virgin di Richard Branson acquistò la banca inglese “Northern Rock”, presa d’assalto dai correntisti sull’onda della crisi finanziaria del 2007, per evitare di deludere i clienti, Branson non era certo di voler cambiare il nome storico. Il brand Virgin, forte dell’esperienza e del successo di tutte le altre imprese del gruppo, invece ha prevalso e la banca è stata rinominata Virgin Money.
Per il brand del colonnello Harland Sanders “Kentucky Fried Chicken”, invece, non c’è stato bisogno di cambiare il nome per avere successo; è stato sufficiente un piccolo maquillage che lo ha ripulito dal “fritto”, scegliendo semplicemente l’acronimo KFC.
Dal momento che il marchio comunica l’idea dell’azienda ed è il simbolo del legame che questa ha con il proprio pubblico, è importante che la strategia di rebranding venga applicata con cautela e nel modo più adatto, proprio per non interrompere tale relazione, ma mantenerla e rafforzarla.
Nella guerra commerciale planetaria il marchio diventa una delle armi più affilate.
[Stefania Giuseppetti per AZ Franchising]