La pubblicità consiste di qualsiasi forma di presentazione o promozione impersonale di idee, beni o servizi da parte di un promotore ben identificato, effettuata a titolo oneroso” (Philip Kotler, Walter G. Scott). Spesso si identifica nel conseguimento di vendite dirette. Altre volte è utilizzata per attirare i consumatori presso i luoghi fisici in cui il prodotto può essere acquistato. Altre volte, infine, persegue l’obiettivo di creare una immagine aziendale.
La pubblicità è uno strumento del marketing mix[1]: un investimento utilizzato per ottenere benefici economici. Il suo obiettivo non è tanto quello di dire qualcosa, ma far succedere qualcosa nella mente del consumatore e, in qualche modo, modificare il suo comportamento, come rimuovere un pregiudizio – ciò che il consumatore pensa oggi e ciò che vogliamo che pensi domani -, ricordare o consolidare una convinzione, oppure informare o educare.
Il primo passo da compiere è conoscere, attraverso ricerche specifiche o per deduzione, il consumatore: che cosa fa e che cosa pensa. In qualsiasi categoria di prodotti è sempre il consumatore che sceglie: fra le molte marche disponibili alcune sono intenzionalmente scartate, altre semplicemente ignorate, e tra il piccolo numero di marche rimaste il consumatore sceglie il suo prodotto.
Pertanto, solo all’interno di questo gruppo privilegiato le specifiche qualità di prodotto possono far prevalere una marca sull’altra. Se il marketing mix (distribuzione, imballaggio, prezzo, promozione, pubblicità) non colloca un prodotto in questo “paniere” non è possibile consolidare la quota di mercato necessaria alla sopravvivenza di una marca.
Il secondo passo da compiere è che cosa dovrà fare o pensare il consumatore dopo che avrà ricevuto il messaggio pubblicitario.
Nello scenario attuale il mercato è troppo affollato per potersi orientare nella molteplicità delle proposte e superare la barriera del disinteresse. Quelli che ci riescono sono meglio disegnati per rispondere alle specifiche esigenze del consumatore.
La “voce” che il consumatore ascolta di più non è quella che strilla più forte, ma è quella che meglio parla a lui e che meglio corrisponde al suo modo di pensare.
A volte, per superare la barriera del disinteresse, sia nelle campagne pubblicitarie, sia negli spot, si usa qualche “effetto speciale”, come, ad esempio, un’esecuzione brillante piuttosto che la presenza di un personaggio sulla cresta dell’onda. Tutto ciò, almeno per un po’, suscita curiosità e attenzione, ma poi si scopre che le persone ricordano la campagna, ma non il prodotto.
Questo per dimostrare che la comunicazione “a effetto” non è in grado di modificare il rapporto del consumatore con il prodotto e con la marca.
Quando si confeziona un messaggio pubblicitario è necessario seguire delle indicazioni molto precise ed essere capaci di inquadrare la creatività all’interno di un progetto ben definito.
Pertanto, affinché un messaggio pubblicitario abbia successo, deve avere le seguenti caratteristiche:
chiarezza: è bene stimolare la curiosità del pubblico anche con messaggi”imprevedibili”, ma sempre puntando alla inequivocabilità;
– immediatezza: il contenuto del messaggio deve essere il più immediato possibile, ovvero deve saper comunicare in modo tale che l’utente non faccia nessuna fatica a recepirlo;
– originalità: è sempre bene considerare con attenzione il proprio target, quelli che sono gli stereotipi cui è abituato: è all’interno di quelli che bisogna sviluppare la propria originalità.
A tale proposito, si ricorda il caso Swish. “Campagna a favore dei vedenti”, citava il 6×3 della Swish, in cui Cindy Crawford indossava esclusivamente un paio di jeans. Era il 1997 e, con lo stesso soggetto, si alternavano head “Benvenuti nel reparto rianimazione” e “Persino i membri del Parlamento si alzeranno”.
La campagna di affissioni, di grande impatto visivo, diventò un vero e proprio caso di costume[2].
Successivamente alla famosa modella si alternarono nelle campagne Swish altre icone della bellezza femminile: da Eva Herzigova a Naomi Campbell, da Claudia Schiffer a Carla Bruni, da Valeria Mazza a Monica Bellucci. Questa volta utilizzando il nome del prodotto anche nella headline[3].
Altrettanto è capitato per il marchio Prontobollo (il recapito espresso a domicilio dei valori bollati). Nato nel 1989, per la sua campagna di affissione, ha scelto un’immagine al alto impatto visivo, in cui appariva in primo piano un pantaloncino di jeans cortissimo indossato da una giovane teenager. Sulla sua coscia il timbro Prontobollo.
Peccato però che, in entrambi i casi, tutti si ricordassero perfettamente l’immagine delle modelle e molto poco quella della marca.
Una definizione precisa di come il prodotto o marca vuole essere percepito, permette di verificare dopo lo svolgimento della campagna, in modo concreto, se si sta raggiungendo l’obiettivo stabilito.
In generale le ricerche sul “ricordo” della pubblicità non ne misurano l’efficacia. Ciò che ci interessa sapere non è se qualcuno ricorda un annuncio, un film o un manifesto, ma se e come la comunicazione riesce a modificare la percezione di un prodotto o di una marca agli occhi del consumatore.
Per tanto, possiamo affermare che il “come vogliamo essere percepiti” definisce sia l’immagine di marca, sia il posizionamento che vogliamo; e che la dimensione del target group e il numero di persone all’interno di esso che riusciamo a convertire costituiranno la “quota di mente”.
La “quota di mente” – share of mind – rappresenta lo spazio occupato dalla marca nella mente del pubblico, ovvero la dimensione complessiva della specifica accettazione della marca all’interno della “gerarchia di scelta” del consumatore.
[1] Il termine marketing mix indica la combinazione (mix) di variabili controllabili (leve decisionali) di marketing che le imprese impiegano per raggiungere i propri obiettivi (fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Marketing_mix).
[2] DEPUTATO CONTRO LO SPOT “SWISH” “Quella pubblicita’ offende il Parlamento” ROMA – Una lettera al presidente della Camera e un’interrogazione al presidente del Consiglio e al ministro dell’Industria per protestare contro la pubblicita’ di una marca di jeans che “offende il Parlamento e i parlamentari”. L’autore e’ il deputato del Ccd Massimo Ostillio, che non sembra avere gradito lo spot che mostra una “famosa modella (Cindy Crawford, n.d.r.) che indossa esclusivamente un paio di jeans”, accompagnato dallo slogan “persino i membri del Parlamento si alzeranno”. Una pubblicita’ che, per Ostillio, “sconfina non solo nel cattivo gusto, ma anche in una forma di vero e proprio disprezzo per le funzioni e l’attivita’ dei parlamentari”. Cosi’ Ostillio chiede a Violante di adottare un’iniziativa che possa, “oltre a censurare in forme idonee il fatto, anche servire ad aprire una piu’ ampia riflessione sull’argomento”. Il presidente dei pubblicitari italiani, Alberto Contri, replica al parlamentare del Ccd: “E’ chiaro il riferimento alla campagna della Swish, ma Ostillio e’ disinformato sull’autoregolamentazione del mondo degli spot. Infatti, non avrebbe dovuto appellarsi a Violante bensi’ semplicemente al Giuri’ di autodisciplina che in queste occasioni e’ l’organismo che ha piu’ senso e pertinenza”. [23 settembre 1997 – Corriere della Sera – Pagina 15]
[3] L’headline è il testo che apre il messaggio e che serve ad attirare l’attenzione. Viene messo in risalto utilizzando caratteri molto grandi e di solito sintetizza il tema della comunicazione o della campagna.
[Stefania Giuseppetti per AZ Franchising]