Le conseguenze del cambiamento e dell’evoluzione della comunicazione hanno prodotto una maggiore quantità di canali e mezzi, in cui è cresciuta l’importanza degli strumenti below the line, ovvero di tutte le attività di comunicazione che non sfruttano i media classici, rispetto all’advertising tradizionale.
Inoltre, dal momento che durante l’acquisto i clienti non valutano più soltanto le caratteristiche di qualità e il prezzo, o quelle caratteristiche legate all’immagine e all’etica aziendale, piuttosto che all’utilizzo di tecnologie di produzione eco-compatibili, si può affermare che i consumatori moderni sono interessati sempre più spesso alla ricerca di emozioni, di esperienze nuove ed esaltanti piuttosto che di prodotti.
C’è da dire anche che la crisi economica in atto ha accelerato lo spostamento dei budget pubblicitari verso i nuovi strumenti di comunicazione e nuove forme di distribuzione che permettono di distinguersi dalla concorrenza e di avere successo.
Così, per migliorare l’esperienza di acquisto e valorizzare i prodotti o servizi, nasce il pop-up retail.
Il pop-up retail – con i temporary store, temporary shop, guerrilla store, pop-up store, pop–up shop – oltre ad essere una strategia di vendita e di distribuzione alternativa, costituisce una vera e propria forma di comunicazione che, sfidando le leggi di fidelizzazione, fa in modo che sia il cliente a cercare il brand.
Questo fenomeno è il riflesso di un modello di consumo ad alta velocità. È un reale punto di contatto tra cliente ed azienda, sia a livello fisico, sia a livello emotivo, un luogo spettacolare dove intrattenere e stupire. Il brand si mette in relazione con ciò che lo circonda per coinvolgere il consumatore in un’esperienza che dà valore alla marca. Qualsiasi spazio – monumenti, giardini, terrazze, musei, locali, vicoli e piazze – può trasformarsi in un pop-up retail, in un luogo-evento irripetibile, caratterizzato da apparizioni fugaci e dal forte impatto.
Con le ore contate, vengono chiusi anche se danno risultati economici positivi.
L’obiettivo primario del fenomeno è emozionare e stupire, facendo leva sulla sfera emotiva del consumatore e arricchendo in tal modo l’esperienza e il valore offerti.
Infatti, chi si ritiene già privilegiato di esserne a conoscenza, in questi contesti acquista anche senza avere un bisogno preciso, ma solo per la novità e l’esperienza unica che quell’occasione rappresenta.
Ci troviamo di fronte a una diversa visione di marketing non convenzionale che può essere definita marketing esperienziale. Il marketing esperienziale permette di offrire ai consumatori non semplici prodotti o servizi ma esperienze concrete e multisensoriali, capaci di coinvolgere contemporaneamente i sensi, l’emotività e il pensiero razionale. Non è importante il prodotto, ma l’esperienza che il consumatore ne trae dal suo utilizzo, quanto diventa parte del suo immaginario e quanto si lega al suo vissuto.
La nascita del pop-up retail risale al 2003 nel Regno Unito e si è sviluppata poi negli Stati Uniti. Tra i primi casi in Italia ricordo quello di Lancôme, che, nel 2005 a Milano, ha lanciato proprio in un negozio a tempo un nuovo trattamento peeling. Per la durata di dodici giorni le clienti dell’Espace Lancôme Peeling Experience sono state istruite da un team specializzato sul nuovo trattamento del brand. Successivamente a tale periodo è iniziata la vendita vera e propria in tutti i punti vendita nazionali in cui Lancôme è presente.
L’anno dopo, da Antonioli (uno dei fashion store più celebrati del panorama milanese) è stato Freitag a presentare in esclusiva, solo per tre giorni, le sue Individual Recycled Freeway Bags.
Ma al di là dell’invito alla prova o della promozione, il pop-up retail può essere utilizzato, ad esempio, anche per ‘democratizzare’ il proprio prodotto, avvicinandolo e rendendolo accessibile a una clientela diversa.
Sostiene Anderson nel libro “La coda lunga” (Codice Edizioni, Torino 2006): “Il mercato deve offrire qualsiasi cosa. Aiutate i consumatori a trovarla”.
[Stefania Giuseppetti per AZ Franchising]